Alla domanda “quanto conta la capacità visionaria nel vedere quello che ci circonda?”, Mario Cresci risponde:
Siamo tutti creativi… Pensate ai bambini quando si esprimono a livello dell’infanzia, ai disegni belli che vengono fuori dai nostri nipotini no? La capacità visionaria credo che sia una qualità che vada difesa e preservata. Nel senso che nasce con noi. […]
La capacità visionaria è la nostra capacità di mantenere in noi il piacere della fantasia e del nostro immaginario che nasce da quando noi nasciamo. E’ la scuola e la formazione e la società che poi ci tolgono questa dote naturale. Io credo che noi nasciamo tutti con grandi capacità creative, chi più chi meno.
Voi pensate per esempio un’altra cosa: io sono un ignorante come una capra per quanto riguarda la cultura musicale. Mio figlio, invece, che è un musicista, e io ho detto “ma non so come hai fatto a nascere con questa… (capacità). E (lui) dice: “perché io ho trovato il piacere di un insegnante che con il flauto dolce mi ha accompagnato nelle scuole medie alla tecnica del suono ma anche al piacere del suonare. No? […] Insomma il problema è coltivare… artisti non si nasce, artisti si diventa diceva Angela Vettese, e non solo Angela Vettese.
E quindi c’è tutto questo discorso che anche nell’ambito della fotografia andrebbe sviluppato, che è quello della conoscenza dell’utilizzo di più linguaggi espressivi ai fini di sviluppare la nostra capacità visionaria, come mi si domandava, che poi possiamo intenderla anche come espressione della nostra creatività, dei nostri sogni che manteniamo dentro di noi.
Vi cito solo un libro che cito spesso, che è questo di Agata Boetti, che dice: il gioco dell’arte con mio padre Alighiero; e lei spiega come da bambina il papà, che questo grandissimo artista, tra parentesi, è vissuto a Torino, poi a Roma […], e dice che lei scrive […] come il papà la portava sempre con sé perché lavoravano insieme. Lei aveva 8 anni, 7, 8, 9, fino a 12 anni e lui la portava con sé e poi le diceva “guarda, io con te sto imparando moltissimo, i disegni che fai, per me, sono linfa vitale.
E nel libro c’è anche questa storia bellissima che […] il papà compra una Rank Xerox, […] erano appena arrivati a Roma nel 72-73 […], compra una Rank Xerox nuova di zecca, fuori piove, e lei dice al padre “che bello sarebbe se potessimo fotocopiare la pioggia”. Il papà la guarda e dice “beh, però non è una cattiva idea, chissà se possiamo fare sta cosa”. Insomma fanno una prova, in realtà non pioveva poi tanto, piovigginava, portano fuori la fotocopiatrice nuova, sulla terrazza e non si sa come riescono a fare le fotocopie della pioggia. Rientrano, felici e contenti e lui dice “però si è rotta la fotocopiatrice”, […] adesso mi tocca farla aggiustare. E lei gli dice “Però siamo stati i primi al mondo a fotocopiare la pioggia” e vanno via contenti e felici come in un bel film. A questo punto per loro l’idea è valsa in maniera paradossale, come dire, a rovinare una macchina, no? E’ molto emblematico questo esempio perché ci fa capire come il piacere della fantasia, dello scoprire, del vivere le cose con il nostro immaginario va al di là di qualsiasi situazione. Ecco questa è un po’ la dimensione dell’arte, anche della generosità, del proprio impegno in un contesto dove non c’è nessun calcolo economico.
Questa dimensione, diciamo soggettiva, molto libera in noi stessi credo che la dobbiamo mantenere. Io ai miei studenti dico sempre questa cosa, di mantenere dentro di loro lo spazio libero della propria immaginazione, al di là delle attività, uno spazio privato, soggettivo che poi diventa esplosivo se la carica creativa è tale da far sì che questo spazio diventi preponderante rispetto allo spazio quotidiano, del nostro vivere quotidiano. Ma noi abbiamo queste due dimensioni, come non siamo più in un solo mondo… I filosofi parlano anche di mondi, quindi i nostri mondi sono tanti. Ecco, entrare nei mondi con il nostro mondo vuol dire anche entrare in una dimensione del non visibile, no? Come diceva Merleau-Ponty, tra il visibile e il non visibile… il tessuto e la forza dell’arte è quella di vivere in questo dualismo. E’ l’espressione di un mondo che noi non vediamo, ma che intuiamo e che creiamo a nostra volta. L’artista, recita Boetti è colui che è capace di mettere al mondo il mondo. E quindi il problema è questo, mettere al mondo il mondo vuol dire che è nostro compito di fotografi, di creativi, di grafici, di coloro che producono immagini, di creare delle immagini che siano una ricerca di senso, come dicevo prima, che è quella della nostra esistenza. Non è solo il click, ma è come fai, perché fai quel click, perché fai quella foto, che significato ha, insomma, senza entrare nelle difficoltà teoriche, ma in sostanza siamo alla ricerca, siamo continuamente alla ricerca del piacere, dell’invenzione, del vedere, del comunicare. Faccio una cosa, non la metto nel cassetto, ma cerco di comunicare e spiegare soprattutto perché l’abbiamo fatta. Questo è importante. Dopo che l’arte si sminuisca in questo modo, perché non è vero che l’artista deleghi all’opera tutto il significato che l’opera deve comunicare agli altri, ma è lui stesso che, finché è in vita, deve cercare di gestire il suo lavoro attraverso i libri, le mostre, gli scritti. Gli scritti… mi viene sempre in mente Luigi Ghirri, che è un punto di riferimento, che i suoi testi a volte sono più importanti delle sue fotografie. Quello che scrive sulla scuola oppure sulle ragioni del suo vedere, che nessun altro fotografo è riuscito mai a scrivere in quel modo così potente, sono affascinanti, sono di straordinaria importanza. Ecco che diventa interessante questo rapporto con la scrittura e l’immagine e tutta una serie di reti connesse.