Altra bellissima riflessione tratta da stories di Marco Ragaini (se non lo seguite, correte a farlo!!) riguarda le espressioni e le pose nel ritratto:

Come esseri umani, siamo bravissimi a leggere le espressioni sui volti dei nostri simili. Distinguiamo le espressioni finte da quelle vere, riconosciamo l’imbarazzo in un sorriso che vorrebbe sembrare spontaneo e sentiamo la forza di uno sguardo in cui abita realmente una domanda. Quando guardiamo un ritratto, vediamo soprattutto cosa comunica la persona raffigurata, molto di più di quanto apprezziamo la bellezza formale della foto.

Per questo nei miei lavori di ritratto e di book non mi senterete mai dire “sorridi” o chiedervi una determinata espressione. Tanto meno vi dirò di immaginare situazioni tristi o allegre, di fare viaggi mentali o di recitare una parte. Per me l’espressione che il soggetto avrà in foto deve nascere da ciò che succede sul set e deve riflettere un’emozione reale.

Come durante una conversazione, una sessione di ritratto attraversa diversi momenti e suscita emozioni diverse e autentiche. Di questo dialogo il ritratto è traccia e testimonianza. Il mio compito è di creare e prendermi cura del clima e della relazione per consentire alla persona di essere se stessa. O di essere una parte di sé che magari non conosce ancora.

Come ci mettiamo “in posa” in una fotografia? La domanda non è banale perché la posizione del corpo non ha solo una funzione estetica o compositiva: dice molto della persona e si riflette in qualche modo anche nell’espressione. Il corpo “sa” interpretare e non solo esprimere una posizione. Così, il fatto di essere in una posa comoda o scomoda, chiusa o aperta, naturale o artificiosa, che ci appartiene o che ci è stata assegnata, influisce molto sul risultato del ritratto.

Personalmente, credo che la posa debba appartenere alla persona che viene ritratta. lo posso dare delle indicazioni compositive legate alla mia sensibilità o alla luce, ma desidero che la persona si riconosca nella posizione che assume, che il suo corpo la senta propria e la esprima al meglio.
La posa, in una sessione di ritratto, evolve come evolve la consapevolezza di sé e il percorso che si sta facendo. Così pian piano la persona si appropria sempre di più di se stessa e si mette in gioco nello spazio, esprimendo ciò che è non solo attraverso l’espressione del viso ma attraverso ogni muscolo.

Su questi punti si potrebbero fare ore di dibattito. Ho avuto esperienza di maestri di fotografia all’opera che guidavano in tutto e per tutto, dirigevano completamente corpo e volto per il raggiungimento del proprio scopo e della propria visione. Altri che lasciavano molto (e in alcuni casi troppo) spazio alla libertà.

A mio avviso, il fotografo dovrebbe innanzi tutto chiarire (chiarirsi) lo scopo. Qual è lo scopo del ritratto? C’è un messaggio che una committenza pretende? C’è un messaggio che tu ti vuoi imporre di dare? Definito ciò, come dico sempre io, si comincia a danzare insieme, verso una direzione. Le facce, le pose, la finzione, la naturalezza, la spontaneità dipende da entrambi. Fotografo e fotografato. L’abilità del fotografo nel condurre, e la fiducia del fotografato. La relazione che si crea tra i due e che plasma viso e corpo. Ecco forse la chiave è proprio questa, in gran parte.

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