Appunti tratti dal libro “Diane Arbus”.
Tutti vorrebbero dar di sè una certa immagine, ma poi appaiono in un’immagine differente, ed è in quest’altra immagine che la gente li vede. Se guardate qualcuno per strada, ciò che gli vedete è un suo difetto. E già una cosa strana che noi tutti abbiamo certe particolarità. E non contenti di quelle che abbiamo, ce ne creiamo ancora delle altre. Tutto il nostro comportamento consiste nel mostrare alla gente cosa vogliamo si pensi di noi, ma c’è sempre una differenza fra quel che vogliamo si sappia di noi e quello che non possiamo evitare si sappia di noi. E questo ha a che fare con quella che ho sempre chiamata la distanza fra l’intenzione e l’effetto. Voglio dire che se si osserva la realtà da vicino, se in qualche modo si arriva proprio sino ad essa, allora la realtà diventa fantastica. È veramente fantastico che noi abbiamo un certo aspetto e che a volte si riesca a vederlo molto chiaramente in una fotografia. Vi è qualche cosa di ironico nel mondo e ciò
deriva dal fatto che ciò che si intende non viene mai fuori come lo si intende.[…]
Quello che voglio dire è che è impossibile uscire dalla propria pelle ed entrare in quella di un altro, Ed è un po’ di questo che si tratta. Che la tragedia di un altro non è la stessa della nostra.
Un’altra cosa è che una fotografia deve essere specifica. Ricordo che molto tempo fa, quando avevo appena cominciato a far fotografie, pensavo: “C’è un’immensa quantità di gente nel mondo e sarà terribilmente difficile fotografarli tutti, così se fotografo una specie di essere umano generico, tutti lo riconosceranno”. Sarà più o meno ciò che chiamavano l’uomo comune o qualcosa di simile. È stata la mia maestra, Lisette Model, a farmi finalmente comprendere che più si è specifici, più sarà generico il risultato. E ci sono certe evasioni, certe reticenze di cui penso bisogna liberarsi
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Ho scoperto recentemente quanto mi piace ciò che non si vede in una fotografia. Una vera e propria oscurità fisica. Ed è per me molto emozionante ritrovare l’oscurità.
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Certe fotografie sono delle incursioni sperimentali senza che uno nemmeno lo sappia. Diventano metodi. E’ importante fare delle brutte fotografie. Sono le brutte che mostrano qualcosa di nuovo. Esse possono farvi riconoscere qualcosa che non avevate visto, in una maniera che ve la farà riconoscere quando la rivedrete.
Detesto l’idea della composizione. Non so cosa sia una buona composizione. In verta, probabilmente devo saperne qualcosa perché ci ho lavorato parecchio, cercando di scoprire quello che mi piace. Talvolta per me la composizione è collegata a una certa luminosità o a una sensazione di calma, e altre volte è il risultato di certi curiosi errori. Si possono fare le cose in modo giusto o in modo sbagliato, e alle volte mi piace il modo giusto, alle volte quello sbagliato. Questa è la composizione.
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Una cosa strana è che non ho mai paura quando guardo nel mirino. Un tale potrebbe venirmi incontro con un fucile o una pistola e io continuerei a tener l’occhio incollato al mirino, come sicura di essere invulnerabile. Sembra proprio un fatto straordinario. Ma certamente vi sono dei limiti, e Dio sa che se delle truppe cominciassero ad avanzare verso di me, verrebbe il momento in cui sarei presa dal terrore di essere uccisa.
Ma la macchina fotografica ha un certo potere. Tutti sanno infatti che con la macchina voi avete su di loro un vantaggio. Voi siete in possesso di un oggetto magico che ha questo potere, che può fermarli e tenerli fermi.
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Per me il soggetto di una fotografia è sempre più importante della fotografia. E più complicato. La stampa è per me importante, ma non è una cosa sacra. Penso che la toto è importante per ciò che rappresenta. Voglio dire che dev’essere una toto che rappresenta qualche cosa. E ciò che essa
rappresenta e più importante di quello che essa è.[…]
Mi pare veramente di avere una specie d’istinto per la qualità delle cose. È qualcosa di sottile e per me un po’ imbarazzante, ma credo davvero che ci siano cose che nessuno vedrebbe se io non le fotografassi.