Affascinato dalla mostra di Mulas, L’operazione Fotografica, voglio riportare, per ricordare, alcuni testi letti alla mostra stessa.
Essere fotografo vuol dire fornire una testimonianza critica della società nella quale si vive.
Ugo Mulas, La fotografia, 1973
Tutti coloro che si interessano ai fatti d’arte hanno incontrato la personalità di Ugo Mulas. Una parte consistente della sua produzione è dedicata, infatti, al mondo dell’arte, al punto che Mulas è stato definito “fotografo d’arte”. Una definizione che ha una doppia valenza: la fotografia stessa di Mulas è arte e, al contempo, è una testimonianza dello stato della produzione creativa del suo tempo. In altre paro-le, Mulas fotografa artisticamente gli artisti, le loro opere e performance, utilizzando una chiave interpretativa e non meramente riproduttiva, che ha contribuito alla conoscenza e alla comprensione dei diversi linguaggi espressivi. Si potrebbe affermare che Mulas e un artifex-philosophus additus artifici, un artista-critico che cerca di penetrare nell’altrui opera per restituircela arricchita di interpretazioni e di significato.
La macchina fotografica è per Mulas quello che era il disegno per Leonardo da Vinci, cioè un mezzo per indagare, studiare, conoscere ciò che lo circonda, uno strumento che, come ci ha insegnato il maestro del Rinascimento, è la più immediata riproduzione del pensiero, in quanto più astratto dell’opera realizzata e finita. Da questo assunto si comprende come per Mulas l’atto di fotografare non sia un gesto oggettivo, una mera copia della realtà, ma un atto di volontà, di scelta e quindi di libertà.
L’evoluzione della sua esperienza lo porterà, direi quasi necessariamente, alle Verifiche, cioè alla riflessione sulle possibiltà espressive e sui meccanismi interni del linguaggio fotografico e dei suoi elementi costitutivi.
Mulas arriva alle Verifiche come momento di riflessione e investigazione sulla fotografia nel 1968 con ‘Omaggio a Niépce, iniziando una ricerca concettuale fondamentale nel suo percorso In consonanza con Mario Dondero scatta le prime immagini dal sapore neorealista, raccontando la Milano degli anni cinquanta, quella delle periferie urbane in espansione edilizia, dei quartieri popolari, delle persone umili, e quel pezzo di storia ormai quasi mitica del capoluogo lombardo, rappresentato dalla vivacità culturale e dall’anticonformismo che si respira al bar Jamaica, dove entra in contatto con artisti, scrittori, intellettuali. La familiarità con l’ambiente artistico genera l’importante incarico di fotografo della Biennale di Venezia. Questo background gli consente di realizzare un’enciclopedia di critica d’arte “per immagini” della scena della Pop Art statunitense.
Una linea evolutiva che poeticamente porta Mulas dal neorealismo al concettuale, dallo status di reporter a quello di artista: in mezzo ci sono lo stupore, la meraviglia, l’emozione e la nostalgia che ci trasmettono le fotografie proposte in questa mostra.