Appunti di fotografia [50] – La passione fotografica

I seguenti appunti sono stati presi durante il webinar online FIAF “Dalla passione fotografica al percorso autoriale – Parte 1” del 18/2/2022.

Introduzione di Claudia Ioan: Cos’è la passione fotografica?
La scoperta della fotografia.
Dalla scoperta alla conoscenza, al confronto, alla crescita.
Scoperta che genera passione.
Una serie di step.
Una rivelazione, una scoperta fulminante.
Anche un processo graduale.
Processo di innamoramento.
Processo di apprendimento.
Italo Zannier -> La fotografia è l’unica arte che poggia su una tecnologia.
Aspetto importante del mezzo.
La necessità di esprimersi passa attraverso la necessità di padroneggiare il mezzo e anche la tecnica.
Passaggio che richiede esercizio e dedizione.
Prima fase in cui c’è l’esigenza di far diventare il mezzo un prolungamento naturale del nostro corpo. Finché siamo troppo consapevoli di avere in mano un oggetto da conoscere e dominare, abbiamo ancora un filtro nei confronti della realtà.
Ne “La camera chiara” di Bartes: l’organo principale del fotografo non è la vista ma il dito. Corporeità allargata in cui la macchina diventa un tuttuno con il fotografo.

Quando cominciamo a fotografare, cambiamo noi e ciò ci rende esseri differenti.
Avere una macchina fotografica in mano incentiva la ricerca di un’idea. La ricerca diventa attiva.
Il fotografo cerca qualcosa nella realtà.
Siamo mossi da qualcosa di molto interiore o da concetti che vogliamo andare a rappresentare.

Riflettiamo tutti su come cambiamo nel momento in cui abbracciamo la fotografia, quindi quando la adottiamo come una nostra modalità espressiva.
L’atto fotografico è molto complesso, è fatto di scelte. Di selezione che affiniamo educando lo sguardo. 
E’ un bel processo, appassionante. E’ un innamoramento.
La relazione nuova che stabiliamo tra noi e il mondo.
La fotografia non è un semplice atto, è un’esperienza.

Segue Silvano Bicocchi che parte da una frase di Philip-Lorca DiCorcia:
“la fotografia è come una lingua straniera che tutti pensano di poter parlare.”
La fotografia è qualcosa di connaturale (proprio o conforme per disposizione naturale).

La passione può entrare nella vita delle persone.
Frase di Stanislao Farri (fotografo reggiano): “La fotografia non mi ha mai tradito”, era una conferma di passione. Con la fotografia non aveva mai perso tempo.
Era uno stile di vita.

Ognuno ha la propria storia.
Fuoco che ha acceso questa passione.
Sappiamo quanto sono importanti le prime fotografie.
Possono apparire ingenue.
Ma hanno accompagnato il formarsi della passione.
Le prime fotografie sono molto importanti. In esse si esprimono i caratteri spontanei dell’identità artistica. Si mostra l’innato. Poi l’uomo entra nel ciclo culturale e si trasforma. E’ inevitabile.

L’attrazione del fotografare che dal problema della scelta visiva porta a vedere nell’immagine fotografica la nostra visione del mondo e quella degli altri, lo si vede quando qualcuno con cellulare si mette a scegliere il modo di fotografare. Non sa niente di fotografia ma è innamorato della fotografia. Si pone il problema di rappresentare come gli piace, non guarda e scatta.
Attrazione fatale verso la macchina fotografica e i vari accessori.

Cercare una propria visione del mondo o vedere la visione degli altri. Anche questa è passione. In questo incontro, scoprire noi stessi.
Quando vediamo una mostra, vediamo come gli altri hanno affrontato temi che probabilmente noi abbiamo affrontato e ci accorgiamo di che mistero sia l’uomo.

(Una parentesi mia: sentendo parlare poi Gigi Montali che descriveva i suoi inizi, mi è venuto in mente di quando partivo per un campo scout o per una vacanza, mio papà mi comprava i rullini, e io facevo il conto di quante fotografie avessi potuto fare ogni giorno.)

Abbandonare la foto singola e dedicarsi al racconto.
Il confronto con gli altri, il commento delle foto è molto importante.

Francesca Artoni.
Un passato a riordinare le fotografie di famiglia.
Energia inespressa.
Poi la prima reflex.

Appunti di fotografia [15] – Ugo Mulas

Il bianco e nero mi interessa di più per una ragione molto elementare. Il colore sembra più falso proprio perché dal colore ci si aspetta la verità, ma sono i colori che la Kodak prepara nelle emulsioni. Il cielo diventa di quel blu che è stato messo dalla Kodak.
Col bianco e nero sai già che ti trovi di fronte ad un’astrazione. Sai già in partenza che fai una cosa che non è naturalistica perché dai equivalenti neri, bianchi, grigi, a quelli che sono poi i colori e quindi questa consapevolezza dell’artificio ti aiuta poi ad accettare il risultato.
Col bianco e nero il discorso è più ideologico, mentale. Il bianco e nero è più un mezzo, un mezzo per fare un discorso, mentre il colore diventa fine a se stesso.

Nel ritratto, l’uomo davanti e quello dietro l’obiettivo sono consapevoli di quel che avviene.

Come i bambini che non sanno ancora parlare, e quando cercano o vogliono una cosa si esprimono avvicinandosi ad essa, toccandola, o fiutandola, o indicandola con mille atteggiamenti diversi, così il fotografo, quando lavora, gira intorno all’oggetto del suo discorso, lo esamina, lo considera, lo tocca, lo sposta, ne muta la collocazione e la luce, e quando finalmente decide di impossessarsene fotografandolo, non avrà espresso che una parte del suo pensiero.

Forse per questo quando entro nello studio di un pittore, sento di dover lasciar fuori le mie idee precostituite, i miei sofismi sulla sua pittura. Posso lavorare solo sui materiali che trovo, su ciò che l’artista mi mostra, su ciò che esiste. E quando mi scordo di questo, è la macchina che mi richiama alla realtà; questo è il limite ma anche il vantaggio del fotografo rispetto al critico. Come le parole che cambiano a seconda delle persone a cui ci si rivolge, così il mio comportamento, il mio atteggiamento cambia a seconda di chi mi sta di fronte. E’ quindi evidente che il fotografare si risolve in uno studio del comportamento.

Capita, dopo poco tempo, che si dimentica quanto si deve alla macchina. Ti sembra che tutto succeda per opera tua, e finisci col chiedere all’apparecchio di trasmetterti tutto il suo potere senza preoccuparti dello scopo, purché ti garantisca il successo.

C’è un senso di immobilità nelle fotografie, fermare il gesto per sempre e prolungarlo all’infinito. E’ come se il tempo non corresse più. Una sensazione paurosa che fa pensare alla morte. Un tempo immobile, ininterrotto, che dà l’angoscia di continuare a vivere nell’immobilità assoluta.

Quando si fa il ritratto a una persona si può assumere un’infinità di atteggiamenti verso questa persona, e farle assumere un’infinità di atteggiamenti verso chi fotografa. Non c’è ritratto più ritratto di quello dove la persona si mette lì in posa, consapevole della macchina e non fa altro che posare, invece solitamente quando si dice che si vuole essere naturali non si intende essere naturali verso se stessi ma essere naturali verso la macchina, cioè verso il fotografo, come per ingannarli, dire io sono qui ma fingo di non sapere che voi ci siete, così la mia finzione sarà più credibile. Invece fotografare uno mentre fa qualcosa è registrare un fatto, quindi fare della cronaca. Il ritratto in un certo senso è qualcosa di più nobile rispetto alla fotografia di cronaca purché non ci sia nessuna reticenza, nessuna finzione verso l’operazione nel suo insieme, che deve essere la più scoperta la più diretta possibile.

Io non voglio essere legato tutto il giorno e tutta la vita a pochi attimi eccezionali. Io voglio che ogni momento della mia vita possa essere un attimo eccezionale. La verità è tutta la nostra vita, tutta la nostra giornata minuto per minuto e ogni minuto può valere l’altro e anzi deve valere l’altro, come non credo ad esempio, come non ho mai creduto, che per fare la bella fotografia sia necessario andare in Cina, in India, in Russia. Ho sempre voluto credere che nella mia stanza e nella mia casa avrei potuto fare qualsiasi ricerca fotografica di grande livello. Ciò che veramente importa non è tanto l’attimo privilegiato quanto individuare una propria realtà, dopodiché tutti gli attimi più o meno si equivalgono. Circoscritto il proprio territorio, ancora una volta potremo assistere al miracolo delle immagini che creano se stesse, perché a quel punto il fotografo deve ridurre il suo intervento alle operazioni strumentali, l’inquadratura, la messa fuoco, la scelta del tempo di posa in rapporto al diaframma, e finalmente il clic. Qui grazie all’apparecchio noi accettiamo la vita in tutta la sua realtà, quindi anche in ogni suo attimo fuggitivo. Al fotografo il compito di individuare una sua realtà, alla macchina quello di registrarla nella sua totalità.

Il tempo acquista una dimensione astratta nella fotografia, non scorre naturalmente come accade nel cinema o nella letteratura. Sullo stesso foglio nello stesso istante coesistono tempi diversi.

Tratti da: Rothko/Mulas – Rai 5, Art night, St. 2020/21, Ep. 13.