Libri di fotografia

Cerchi libri di fotografia? Sei nel posto giusto per trovare ispirazione!

Ho deciso di pubblicare qui tutti i libri che possiedo inerenti la fotografia, la mia piccola biblioteca fotografica! Se hai qualche domanda o vuoi dei consigli per gli acquisti, chiedi pure nei commenti! :)

La quasi totalità dei link che seguono sono affiliati Amazon. Pertanto, se compri qualcosa, tu non spenderai nemmeno un centesimo in più, e io riceverò una piccolissima percentuale dagli acquisti idonei, che mi aiuterà a realizzare contenuti gratuiti come questo! :)

Ultimo aggiornamento: 17/06/2024

  1. Alberto Schommer: retratos, 1969-1989
  2. Alessandro Bergamini – Humanity
  3. Annie Leibovitz – Immagini 1970-1990 (ed. multilingua: Annie Leibovitz. The early years 1970-1983. Ediz. inglese, francese e tedesca)
  4. Annie Leibovitz – Fotografie di una vita 1990-2005 (ed. inglese: A Photographer’s Life: 1990-2005)
  5. Annie Leibovitz – Ritratti 2005-2016 (ed. inglese: Annie Leibovitz Portraits: 2005-2016)
  6. Annie Leibovitz – Photographs
  7. Ansel Adams – La fotocamera
  8. Anton Corbijn – Everybody hurts
  9. Arnold Newman – One Mind’s Eye: The Portraits and Other Photographs of Arnold Newman
  10. Arthur Tress – Talisman
  11. Arturo Ghergo – Fotografie 1930-1959
  12. August Sander – Masterpieces
  13. August Sander – Visage d’une époque
  14. Dana Lixenberg – Imperial courts
  15. Diane Arbus. An aperture monograph (ed. inglese: Diane Arbus: An Aperture Monograph)
  16. Diane Arbus. Magazine Work
  17. Dominique Fernandez, Leonardo Sciascia, Ferdinando Scianna (fotografie) – I siciliani
  18. Duane Michals – The Essential
  19. Edward Quinn – Riviera cocktail. Côte d’Azur Jet Set of the 1950s
  20. Edward Quinn: Fotograf, Nizza (ed. inglese: Edward Quinn: A Cote d’Azur Album)
  21. Edward S Curtis – The North American Indian. The Complete Portfolios
  22. Efrem Raimondi, Toni Thorimbert – Vasco Rossi. Tabularasa
  23. Elliott Erwitt – Personal best
  24. Ernst Friedrich – Guerra alla guerra
  25. Ferdinando Scianna – In gioco
  26. Ferdinando Scianna – Istanti di luoghi
  27. Ferdinando Scianna – Cose
  28. Ferdinando Scianna – Memoria, viaggio, racconto
  29. Ferdinando Scianna – Autoritratto di un fotografo
  30. Filippo Maggia – Effetto Araki
  31. Francesca Woodman
  32. Francesco Cito – L’isola al di là dal mare
  33. Francesco Cito – Immagini come parole
  34. Francesco Cito – Sulla Terra chiamata Palestina
  35. Francesco Cito – Francesco Cito Photographer
  36. Franco Fontana – Fullcolor
  37. Gabriele Basilico – Dancing in Emilia
  38. Gabriele Basilico – Milano
  39. George Hurrell – The Portfolios of George Hurrell
  40. Germano Celant – Giovanni Gastel
  41. Gianni Berengo Gardin – In parole povere
  42. Giovanni Gastel – The People I like
  43. Giovanni Gastel – Maschere e spettri
  44. Guido Harari – Remain in light. 50 anni di fotografie e incontri
  45. Henri Cartier-Bresson – In Cina
  46. Henri Cartier-Bresson – The Decisive Moment (ed. francese: Henri Cartier-Bresson Images A La Sauvette)
  47. Henri Cartier-Bresson: Scrapbook – Fotografie 1932-1946 (ed. inglese: Henri Cartier-Bresson: Scrapbook)
  48. Helmut Newton – Work
  49. Helmut Newton & Pirelli – Storia di un calendario censurato
  50. Iago Corazza – I segreti della fotografia di reportage
  51. Irving Penn – Worlds in a Small Room
  52. Irving Penn – Centennial
  53. Jacopo Benassi – The ecology of images
  54. Jason Schmidt – Artists
  55. Jason Schmidt – Artists II
  56. Jean Pigozzi – A short visit to planet earth
  57. Jean Pigozzi – ME+CO – The Selfies: 1972-2017
  58. Jimmy Nelson – Humanity
  59. John Berger – Capire una fotografia
  60. Larry Clark – Tulsa
  61. Laura Wilson – Avedon at Work: In the American West
  62. Luigi Ghirri – Kodachrome
  63. Magnum Life. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia
  64. Magnum – La scelta della foto (ed. inglese: Magnum Contact Sheets)
  65. Malick Sidibé – La vie en rose
  66. Marc Hom – Profiles
  67. Marc Lagrange – Chocolate
  68. Marc Lagrange – Senza parole
  69. Mario Giacomelli – La figura nera aspetta il bianco
  70. Marzio Toniolo – Un Po Mio
  71. Mauro De Bettio – 40 seasons of humanity
  72. Michael Freeman – L’occhio del fotografo
  73. Nan Goldin – The ballad of sexual dependency
  74. Nicholas Nixon – Live Love Look Last
  75. Norman Seeff – Hot Shots
  76. Oliviero Toscani – More Than Fifty Years of Magnificent Failures
  77. Patrick Demarchelier – Photographs (ed. francese: Patrick Demarchelier)
  78. Paul Nicklen – Born to ice
  79. Peter Lindbergh – On fashion photography
  80. Peter Lindbergh – Shadows on the Wall
  81. Ralph Gibson – Nude
  82. Richard Avedon – Fotografie 1946-2004 (ed. inglese: Richard Avedon: Photographs 1946-2004)
  83. Richard Avedon – In the American West
  84. Richard Avedon – Relationships
  85. Robert Capa
  86. Robert Capa – Leggermente fuori fuoco
  87. Roland Barthes – La camera chiara
  88. Robert Frank – Gli americani (ed. inglese: The Americans)
  89. Roxanne Lowit – Moments
  90. Sebastião Salgado – Genesi (ed. inglese: Sebastião Salgado. Genesis)
  91. Sebastião Salgado – La mano dell’uomo (ed. inglese: Workers: An Archaeology of the Industrial Age)
  92. Sebastião Salgado – Children. I bambini di Exodus
  93. Sebastião Salgado – Gold (ed. multilingua: Sebastião Salgado. Gold)
  94. Sebastião Salgado – Africa
  95. Sebastião Salgado – Amazônia (ed. inglese: Sebastião Salgado. Amazônia)
  96. Sebastião Salgado – Dalla mia Terra alla Terra
  97. Susan Sontag – Sulla fotografia
  98. Susan Sontag – Davanti al dolore degli altri
  99. Tina Barney Photographs: Theaters of Manners: theater of manners
  100. Toni Thorimbert – Carta Stampata
  101. Toni Thorimbert – Proprio da dentro ti voglio e il tuo interno desidero mentre ti guardo
  102. Toni Thorimbert – Seduction of Photography
  103. Toni Thorimbert – Transfert
  104. Ugo Mulas – La fotografia
  105. Ugo Mulas – L’operazione fotografica
  106. Urs Lüthy
  107. Vincent Peters – The light between us
  108. William Klein – New York 1954.55 (ed. inglese: New York 1954.55)
  109. William Klein – PARIGI + KLEIN (ed. inglese: Paris + Klein)
  110. William Klein – Roma (ed. inglese: Rome)

Appunti di fotografia [145] – Franco Zecchin

Gli appunti che seguono sono stati presi durante l’incontro della FIAF dell’11.1.24 dedicato a Franco Zecchin. Vi consiglio caldamente la sua visione integrale a questo indirizzo: https://youtu.be/7GSlYDToq3U. Il titoli dei paragrafi li ho messi io in base a ciò che volevo evidenziare/ricordare.

Giovanna Calvenzi introduce Franco Zecchin, leggendo ciò che Letizia Battaglia ha detto di Franco riguardo il suo inizio professionale a Palermo.

Franco Zecchin per Letizia Battaglia

“Franco per un po’ è stato a guardare, poi piano piano ha cominciato a prendere in mano la macchina fotografica, ha messo ordine nell’organizzazione del lavoro, ha cominciato a fare i provini, a schedare le foto che facevamo. E’ stato subito evidente che era un bravo fotografo, che aveva talento. E’ di quei fotografi che non ti accorgi che esistono, essenzialmente è invisibile. Mentre io bisticciavo con i poliziotti lui scattava. Quando lavoravamo insieme, io guardavo e mi chiedevo – ma perché non scatta? – e lui aveva già scattato più di me. Senza parole, riservato. Io facevo casino, lui faceva belle foto. La cosa interessante è che quando tornavamo in studio, sviluppavamo, facevamo i provini, sapevamo subito cosa scegliere, senza rivalità, sicuramente ha fatto foto molto più belle delle mie. Non sbagliava mai, aveva una sorta di freddezza, di non partecipazione apparente a quanto succedeva, credo che dipendesse dal fatto che io sono di questa terra e Franco è milanese e si sentiva tra virgolette osservatore “.

La sua formazione e il suo lavoro al giornale

Franco Zecchin parlando del suo lavoro e del giornale in cui lavorava: “era un giornale del pomeriggio, quindi che dava molto spazio alle fotografie, quindi aveva bisogno di avere fotografie, anzi, sulla richiesta di queste cose in più noi potevamo proporre delle altre immagini che avevamo fatto noi a prescindere (dalle richieste), in modo anche così, autonomo, indipendente, che se la redazione giudicava interessanti, le pubblicava pure come è successo diverse volte. Per me è stata una scuola di giornalismo e di fotogiornalismo fatta diciamo nella pratica. Non avevo nessun tipo di formazione su come si fa giornalismo, su come si fa fotografia in questi casi. Me la sono costruita piano piano con l’esperienza. Intanto eravamo un gruppo di fotografi, con Letizia e con gli altri fotografi ci scambiavamo le impressioni, i consigli, i giudizi, rispetto al lavoro che facevamo, cercavamo anche, in qualche modo di… già dall’inizio c’era una passione per la fotografia che andava al di là di quella che poteva essere l’esigenza di qualità fotografica che era richiesta o accettata dal giornale di allora. Quindi noi cercavamo anche altri riferimenti che non erano solo quelli locali, tant’è che ogni anno andavamo al festival di fotografia di Arles per incontrare fotografi sia italiani che non avevamo la possibilità di incontrare stando a Palermo ma anche stranieri, francesi, americani, insomma, era un punto di incontro. Potevamo vedere mostre, lavori di altro tipo. E poi c’era questa apertura, questo interesse. mi ricordo che eravamo abbonati alla rivista Camera, quella svizzera che era mensile. Ogni mese ci arrivava e c’era questa finestra sul mondo della fotografia internazionale. All’epoca non esisteva ovviamente il web, quindi… in più eravamo a Palermo, non è che ci fossero molte altre possibilità di conoscere. Tant’è che abbiamo aperto insieme a Letizia il primo centro di fotografia… con una galleria fotografica e una libreria specializzata dove venivano poi fotografi a esporre e anche a vedere, a guardare… un’iniziativa di promozione culturale della fotografia a Palermo e in Sicilia. “

Lavorare INSIEME, in GRUPPO

Alla domanda “Che cosa significava lavorare insieme allora? Oggi l’idea del fotografo come una specie di cowboy solitario, prevale, mentre mi sembra che allora ci fosse più un’idea di un lavoro collettivo che fra l’altro non riguardava soltanto voi di quella particolare situazione ma era proprio anche di altri fotografi di altri ambiti anche molto diversi… Voglio dire, perché i fotografi non erano così gelosi uno dell’altro, perché si pensava che la fotografia fosse qualcosa che si poteva fare insieme?”
Franco risponde: “Diciamo che il fatto di lavorare in gruppo prioritariamente era in qualche modo una risposta a delle esigenze particolari per cui spesso essere in due, alle volte eravamo anche in tre sulla stessa scena, alle volte eravamo anche di più, perché dipende se è una cosa già programmata tipo un funerale… c’è quello che fa le prime fotografie e poi deve correre in redazione per svilupparle, quello che rimane perché poi magari c’è qualcosa che si sviluppa in seguito… c’è una distribuzione temporale e spaziale anche, perché spesso chi è da un lato non può essere nello stesso momento dall’altro e le cose possono succedere in due posti diversi nello stesso momento… E’ anche una questione di logistica, di riuscire a coprire meglio l’avvenimento che dovevamo fotografare.
Poi, al di là di questa esigenza più tecnica, c’era anche l’idea che in fondo perseguivamo insieme lo stesso obiettivo, quello di disporre di un materiale fotografico che usciva da questo gruppo di una qualità migliore possibile. Quindi ci spalleggiavamo l’un l’altro per cercare poi di ottenere un qualche cosa… cioè non c’era l’idea: questa foto è mia, questa foto è tua… io sono più bravo… Questo soprattutto con Letizia. Tant’è che per esempio nel volume Chroniques Siciliennes, all’epoca noi firmavamo le foto: foto di Letizia Battaglia e Franco Zecchin, senza distinguere di chi erano. […]”

La differenza dell’APPROCCIO di Letizia Battaglia e Franco Zecchin

Franco dice: “L’approccio di Letizia era più un approccio direi performativo. Letizia arriva e afferma la sua presenza con la macchina fotografica. Io sono qua, provoco con il mio esserci una reazione e attraverso la reazione che ho provocato, colgo l’essenzialità del fatto con cui sono in rapporto.
Per me era assolutamente il contrario, nel senso che io non volevo provocare nulla, volevo giustamente… attenuare, sminuire la mia presenza, cosa che tutt’ora fa parte del mio modo di fotografare, per poter reagire in modo più trasparente possibile alle sollecitazioni che mi arrivavano. Ovviamente poi c’è sempre un’interpretazione anche da parte mia. Però in questo caso Letizia nella testimonianza che ha citato Giovanna lo descrive come il milanese freddo e distante, perché lei invece siciliana è calda e passionale… E’ un modo un po’ stereotipato di vedere la cosa… Io pure partecipavo, però era un modo diverso di partecipare.

Giovanna Calvenzi interviene dicendo: “Io ho sempre davvero guardato il lavoro di Letizia e tuo, e quest’idea di complementarietà, per me invece era chiarissimo, perché lei dice ridendo che tu eri freddo e milanese e lei era calda e palermitana, ma è evidente che è una boutade… io Letizia l’ho vista al lavoro. Letizia era dirompente. Quindi dava spazio a chi voleva riflettere, interpretare, guardare, perché tanto lei stava facendo la protagonista della situazione e ci sono alcune immagini… dove io ricordo che c’era anche lei…le foto delle famiglie per esempio, e si vede benissimo che lei sta andando proprio addosso, come dire, a questa famiglia, e tu hai un passo… ma non è questione di freddezza, è questione di approccio visivo diverso… tu sei più meditativo e la tua immagine ha una composizione… le ho guardate tutte più volte… non ce n’è una che ha la composizione sbagliata, non so come dirti, tu hai messo nell’immagine esattamente quello che volevi metterci. Cioè l’hai creata tu questa situazione… e lo puoi fare perché tu sei uno che guarda, che sta attento e che aspetta.
Noi abbiamo fatto già in passato delle riflessioni… tra le differenze nel modo di lavorare tra William Klein e Henri Cartier-Bresson. William Klein doveva entrare nella situazione, esserci, modificarla, far vedere che lui c’era. Cartier-Bresson doveva sparire. E io ho sempre un po’, con margini ovviamente diversi, pensato al vostro lavoro un po’ in questa direzione. Una che va nella situazione e uno che resta ai margini ma che la racconta con grande classe.

La fotografia per Franco Zecchin

Gli viene detto “tu sei sicuramente quello che gli americani potrebbero chiamare un fotografo concerned, direi, impegnato. Giri il mondo, fai lavori diversi ma quello che ti interessa maggiormente è l’aspetto sociale ma anche antropologico dei luoghi che frequenti, vai anche a scoprire quali sono le criticità, quelli che sono i problemi che nei vari luoghi in cui vai a fotografare emergono, no? Mi sembra che questa sia un po’ una delle tue caratteristiche… non sei uno spettatore neutro ma cerchi di entrare nello spirito delle popolazioni, dei luoghi… per testimoniare un qualche cosa nei loro confronti”.

Franco risponde: “Intanto l’idea di spettatore neutro non corrisponde a una realtà, non esiste uno spettatore neutro, qualsiasi sguardo seleziona e quindi fa un’operazione in qualche modo che non è neutrale. Quello che per me è importante in tutto questo è l’onesta. Cioè, io non voglio aggiungere più di tanto… l’operazione che faccio io è quella di togliere, di essenzializzare in un certo senso, di togliere tutto quello che disturba, che crea rumore, che non collabora a una coreografia d’insieme. Per cui in fondo anche in questo sottrarre, in questo selezionare, ovviamente c’è un’operazione autoriale. Intervengo, c’è un mio sguardo, c’è una mia interpretazione. In fondo per me, quello che mi piace nella fotografia, è perché ho un modo di entrare in relazione con il mondo. E in questo… poi io mi sono trovato nell’evoluzione del mio mestiere… piano piano… ho incorporato sempre di più questo sguardo. Poi quando uno è fotografo, continua a esserlo anche senza macchina fotografica, a guardare la realtà nello stesso modo. Piano piano mi sono avvicinato a un tipo di approccio che si può definire antropologico. Tant’è che poi alla fine mi ritrovo oggi a collaborare molto di più e molto più felicemente con antropologi, in ambito antropologico, che non con i giornali come agli inizi della mia carriera da fotografo. Probabilmente anche perché io sono evoluto in una direzione e i giornali sono evoluti in un’altra e ci siamo separati.
La fotografia non è qualche cosa di fisso, di stabile, di assolutizzante. Non è un’entità, è una relazione. […]

Il Bianco e nero per Franco Zecchin

Gli viene posta un’altra domanda: “Forse è giunto il momento che tu ci dica qualcosa sul bianco e nero. Perché io ho sempre un po’ l’impressione che nella scelta del bianco e nero non ci siano mai soltanto questioni di tipo stilistico o estetico, ma in fondo anche questioni di tipo etico. E’ così per te?”

Franco risponde: “L’etica è qualche cosa difficile da definire, quindi quando parliamo di etico bisogna vedere cosa intendiamo. Per me il bianco e nero da un lato è un tipo di linguaggio, per me, più naturale, del quale ho più dimestichezza, mi esprimo meglio. Il colore nasce più da una necessità. Ora faccio anche dei progetti di foto a colori, in cui utilizzo il colore e non il bianco e nero. Quindi c’è già un altro tipo di evoluzione. Però l’origine della mia fotografia a colori è un’origine alimentare. Dovevamo fare foto anche a colori perché i magazine e i mensile non volevano il bianco e nero o li pubblicavano molto meno facilmente che non il colore. Per poter pubblicare il bianco e nero dovevi avere veramente qualche cosa di particolare tipo ad esempio I Nomadi… o anche un riconoscimento del fatto che tu sei solo in bianco e nero, e quindi o quello o niente, ma è chiaro che ti tagli una grande fetta di mercato.”

Domanda: “Perché ti senti più a tuo agio con il bianco e nero?”

Franco: “Il bianco e nero svela l’artifizio. Noi non vediamo il mondo, le cose, in bianco e nero, quindi quando io lo mostro in bianco e nero, mostro già che c’è un’interpretazione, che c’è un qualche cosa di diverso che non la realtà com’è. E quindi anche se poi io nel mio mostrare voglio aderire a una realtà… e lì la doppia valenza della fotografia che da un lato riprende la realtà, dall’altro c’è pure lo sguardo del fotografo, quindi è un’interpretazione. Quindi questa ambivalenza può sembrare contraddittoria, può esserlo anche, però in fondo l’idea del bianco e nero per me è che in questa ricerca di essenzializzazione, essenzializzo ancora di più, nel senso che tolgo degli elementi di colore che magari non riesco a controllare o magari aumentano l’informazione contenuta nell’immagine in un modo che non mi interessa.

Fotografia e memoria

Una della cose importanti della fotografia è che l’immagine fissa si radica nella memoria in modo più forte e più immediato. La memoria, si può dire, si crea privilegiando le immagini. Se vogliamo ribaltare il ragionamento, attraverso le immagini fisse si può creare la memoria. La memoria è importante perché se noi perdiamo la memoria, cosa sono stati quegli anni in Sicilia per esempio, c’è il rischio che le cose si ripetano. E’ sempre bene mantenerla viva, questa memoria, e il modo migliore per mantenerla viva è utilizzando anche le immagini.