Libri di fotografia

Cerchi libri di fotografia? Sei nel posto giusto per trovare ispirazione!

Ho deciso di pubblicare qui tutti i libri che possiedo inerenti la fotografia, la mia piccola biblioteca fotografica! Se hai qualche domanda o vuoi dei consigli per gli acquisti, chiedi pure nei commenti! :)

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Ultimo aggiornamento: 20/11/2024

  1. Alberto Schommer: retratos, 1969-1989
  2. Alessandro Bergamini – Humanity
  3. Annie Leibovitz – Immagini 1970-1990 (ed. multilingua: Annie Leibovitz. The early years 1970-1983. Ediz. inglese, francese e tedesca)
  4. Annie Leibovitz – Fotografie di una vita 1990-2005 (ed. inglese: A Photographer’s Life: 1990-2005)
  5. Annie Leibovitz – Ritratti 2005-2016 (ed. inglese: Annie Leibovitz Portraits: 2005-2016)
  6. Annie Leibovitz – Photographs
  7. Ansel Adams – La fotocamera
  8. Ansel Adams – Il negativo
  9. Anton Corbijn – Everybody hurts
  10. Arnold Newman – One Mind’s Eye: The Portraits and Other Photographs of Arnold Newman
  11. Arthur Tress – Talisman
  12. Arturo Ghergo – Fotografie 1930-1959
  13. August Sander – Masterpieces
  14. August Sander – Visage d’une époque
  15. Cindy Sherman – The Complete Untitled Film Stills
  16. Dana Lixenberg – Imperial courts
  17. Diane Arbus. An aperture monograph (ed. inglese: Diane Arbus: An Aperture Monograph)
  18. Diane Arbus. Magazine Work
  19. Dominique Fernandez, Leonardo Sciascia, Ferdinando Scianna (fotografie) – I siciliani
  20. Duane Michals – The Essential
  21. Edward Quinn – Riviera cocktail. Côte d’Azur Jet Set of the 1950s
  22. Edward Quinn: Fotograf, Nizza (ed. inglese: Edward Quinn: A Cote d’Azur Album)
  23. Edward S Curtis – The North American Indian. The Complete Portfolios
  24. Efrem Raimondi, Toni Thorimbert – Vasco Rossi. Tabularasa
  25. Elliott Erwitt – Personal best
  26. Ernst Friedrich – Guerra alla guerra
  27. Ferdinando Scianna – In gioco
  28. Ferdinando Scianna – Istanti di luoghi
  29. Ferdinando Scianna – Cose
  30. Ferdinando Scianna – Memoria, viaggio, racconto
  31. Ferdinando Scianna – Autoritratto di un fotografo
  32. Filippo Maggia – Effetto Araki
  33. Francesca Woodman
  34. Francesco Cito – L’isola al di là dal mare
  35. Francesco Cito – Immagini come parole
  36. Francesco Cito – Sulla Terra chiamata Palestina
  37. Francesco Cito – Francesco Cito Photographer
  38. Franco Fontana – Fullcolor
  39. Gabriele Basilico – Dancing in Emilia
  40. Gabriele Basilico – Milano
  41. George Hurrell – The Portfolios of George Hurrell
  42. Germano Celant – Giovanni Gastel
  43. Gianni Berengo Gardin – In parole povere
  44. Giovanni Gastel – The People I like
  45. Giovanni Gastel – Maschere e spettri
  46. Guido Harari – Remain in light. 50 anni di fotografie e incontri
  47. Henri Cartier-Bresson – In Cina
  48. Henri Cartier-Bresson – The Decisive Moment (ed. francese: Henri Cartier-Bresson Images A La Sauvette)
  49. Henri Cartier-Bresson: Scrapbook – Fotografie 1932-1946 (ed. inglese: Henri Cartier-Bresson: Scrapbook)
  50. Helmut Newton – White Women
  51. Helmut Newton – World without Men
  52. Helmut Newton – Work
  53. Helmut Newton & Pirelli – Storia di un calendario censurato
  54. Iago Corazza – I segreti della fotografia di reportage
  55. Irving Penn – Worlds in a Small Room
  56. Irving Penn – Centennial
  57. Jacopo Benassi – The ecology of images
  58. Jason Schmidt – Artists
  59. Jason Schmidt – Artists II
  60. Jean Pigozzi – A short visit to planet earth
  61. Jean Pigozzi – ME+CO – The Selfies: 1972-2017
  62. Jimmy Nelson – Humanity
  63. John Berger – Capire una fotografia
  64. Larry Clark – Tulsa
  65. Laura Wilson – Avedon at Work: In the American West
  66. Lee Friedlander – Family in the Picture, 1958-2013
  67. Lee Friedlander – In the Picture: Self-Portaits 1958-2011
  68. Luigi Ghirri – Kodachrome
  69. Magnum Life. Il fotogiornalismo che ha fatto la storia
  70. Magnum – La scelta della foto (ed. inglese: Magnum Contact Sheets)
  71. Malick Sidibé – La vie en rose
  72. Marc Hom – Profiles
  73. Marc Lagrange – Chocolate
  74. Marc Lagrange – Senza parole
  75. Mario Giacomelli – La figura nera aspetta il bianco
  76. Marzio Toniolo – Un Po Mio
  77. Mauro De Bettio – 40 seasons of humanity
  78. Michael Freeman – L’occhio del fotografo
  79. Nan Goldin – The ballad of sexual dependency
  80. Nicholas Nixon – Live Love Look Last
  81. Norman Seeff – Hot Shots
  82. Oliviero Toscani – More Than Fifty Years of Magnificent Failures
  83. Patrick Demarchelier – Photographs (ed. francese: Patrick Demarchelier)
  84. Paul Nicklen – Born to ice
  85. Peter Lindbergh – On fashion photography
  86. Peter Lindbergh – Shadows on the Wall
  87. Ralph Gibson – Nude
  88. Richard Avedon – Fotografie 1946-2004 (ed. inglese: Richard Avedon: Photographs 1946-2004)
  89. Richard Avedon – In the American West
  90. Richard Avedon – Relationships
  91. Robert Capa
  92. Robert Capa – Leggermente fuori fuoco
  93. Roland Barthes – La camera chiara
  94. Robert Frank – Gli americani (ed. inglese: The Americans)
  95. Roxanne Lowit – Moments
  96. Sebastião Salgado – Genesi (ed. inglese: Sebastião Salgado. Genesis)
  97. Sebastião Salgado – La mano dell’uomo (ed. inglese: Workers: An Archaeology of the Industrial Age)
  98. Sebastião Salgado – Children. I bambini di Exodus
  99. Sebastião Salgado – Gold (ed. multilingua: Sebastião Salgado. Gold)
  100. Sebastião Salgado – Africa
  101. Sebastião Salgado – Amazônia (ed. inglese: Sebastião Salgado. Amazônia)
  102. Sebastião Salgado – Dalla mia Terra alla Terra
  103. Susan Sontag – Sulla fotografia
  104. Susan Sontag – Davanti al dolore degli altri
  105. Tina Barney Photographs: Theaters of Manners: theater of manners
  106. Toni Thorimbert – Carta Stampata
  107. Toni Thorimbert – Proprio da dentro ti voglio e il tuo interno desidero mentre ti guardo
  108. Toni Thorimbert – Seduction of Photography
  109. Toni Thorimbert – Transfert
  110. Ugo Mulas – La fotografia
  111. Ugo Mulas – L’operazione fotografica
  112. Urs Lüthy
  113. Vincent Peters – The light between us
  114. William Klein – Mosca (ed. inglese: Moscow)
  115. William Klein – New York 1954.55 (ed. inglese: New York 1954.55)
  116. William Klein – PARIGI + KLEIN (ed. inglese: Paris + Klein)
  117. William Klein – Roma (ed. inglese: Rome)
  118. William Klein – Tokyo (ed. inglese: Tokyo)

Appunti di fotografia [145] – Franco Zecchin

Gli appunti che seguono sono stati presi durante l’incontro della FIAF dell’11.1.24 dedicato a Franco Zecchin. Vi consiglio caldamente la sua visione integrale a questo indirizzo: https://youtu.be/7GSlYDToq3U. Il titoli dei paragrafi li ho messi io in base a ciò che volevo evidenziare/ricordare.

Giovanna Calvenzi introduce Franco Zecchin, leggendo ciò che Letizia Battaglia ha detto di Franco riguardo il suo inizio professionale a Palermo.

Franco Zecchin per Letizia Battaglia

“Franco per un po’ è stato a guardare, poi piano piano ha cominciato a prendere in mano la macchina fotografica, ha messo ordine nell’organizzazione del lavoro, ha cominciato a fare i provini, a schedare le foto che facevamo. E’ stato subito evidente che era un bravo fotografo, che aveva talento. E’ di quei fotografi che non ti accorgi che esistono, essenzialmente è invisibile. Mentre io bisticciavo con i poliziotti lui scattava. Quando lavoravamo insieme, io guardavo e mi chiedevo – ma perché non scatta? – e lui aveva già scattato più di me. Senza parole, riservato. Io facevo casino, lui faceva belle foto. La cosa interessante è che quando tornavamo in studio, sviluppavamo, facevamo i provini, sapevamo subito cosa scegliere, senza rivalità, sicuramente ha fatto foto molto più belle delle mie. Non sbagliava mai, aveva una sorta di freddezza, di non partecipazione apparente a quanto succedeva, credo che dipendesse dal fatto che io sono di questa terra e Franco è milanese e si sentiva tra virgolette osservatore “.

La sua formazione e il suo lavoro al giornale

Franco Zecchin parlando del suo lavoro e del giornale in cui lavorava: “era un giornale del pomeriggio, quindi che dava molto spazio alle fotografie, quindi aveva bisogno di avere fotografie, anzi, sulla richiesta di queste cose in più noi potevamo proporre delle altre immagini che avevamo fatto noi a prescindere (dalle richieste), in modo anche così, autonomo, indipendente, che se la redazione giudicava interessanti, le pubblicava pure come è successo diverse volte. Per me è stata una scuola di giornalismo e di fotogiornalismo fatta diciamo nella pratica. Non avevo nessun tipo di formazione su come si fa giornalismo, su come si fa fotografia in questi casi. Me la sono costruita piano piano con l’esperienza. Intanto eravamo un gruppo di fotografi, con Letizia e con gli altri fotografi ci scambiavamo le impressioni, i consigli, i giudizi, rispetto al lavoro che facevamo, cercavamo anche, in qualche modo di… già dall’inizio c’era una passione per la fotografia che andava al di là di quella che poteva essere l’esigenza di qualità fotografica che era richiesta o accettata dal giornale di allora. Quindi noi cercavamo anche altri riferimenti che non erano solo quelli locali, tant’è che ogni anno andavamo al festival di fotografia di Arles per incontrare fotografi sia italiani che non avevamo la possibilità di incontrare stando a Palermo ma anche stranieri, francesi, americani, insomma, era un punto di incontro. Potevamo vedere mostre, lavori di altro tipo. E poi c’era questa apertura, questo interesse. mi ricordo che eravamo abbonati alla rivista Camera, quella svizzera che era mensile. Ogni mese ci arrivava e c’era questa finestra sul mondo della fotografia internazionale. All’epoca non esisteva ovviamente il web, quindi… in più eravamo a Palermo, non è che ci fossero molte altre possibilità di conoscere. Tant’è che abbiamo aperto insieme a Letizia il primo centro di fotografia… con una galleria fotografica e una libreria specializzata dove venivano poi fotografi a esporre e anche a vedere, a guardare… un’iniziativa di promozione culturale della fotografia a Palermo e in Sicilia. “

Lavorare INSIEME, in GRUPPO

Alla domanda “Che cosa significava lavorare insieme allora? Oggi l’idea del fotografo come una specie di cowboy solitario, prevale, mentre mi sembra che allora ci fosse più un’idea di un lavoro collettivo che fra l’altro non riguardava soltanto voi di quella particolare situazione ma era proprio anche di altri fotografi di altri ambiti anche molto diversi… Voglio dire, perché i fotografi non erano così gelosi uno dell’altro, perché si pensava che la fotografia fosse qualcosa che si poteva fare insieme?”
Franco risponde: “Diciamo che il fatto di lavorare in gruppo prioritariamente era in qualche modo una risposta a delle esigenze particolari per cui spesso essere in due, alle volte eravamo anche in tre sulla stessa scena, alle volte eravamo anche di più, perché dipende se è una cosa già programmata tipo un funerale… c’è quello che fa le prime fotografie e poi deve correre in redazione per svilupparle, quello che rimane perché poi magari c’è qualcosa che si sviluppa in seguito… c’è una distribuzione temporale e spaziale anche, perché spesso chi è da un lato non può essere nello stesso momento dall’altro e le cose possono succedere in due posti diversi nello stesso momento… E’ anche una questione di logistica, di riuscire a coprire meglio l’avvenimento che dovevamo fotografare.
Poi, al di là di questa esigenza più tecnica, c’era anche l’idea che in fondo perseguivamo insieme lo stesso obiettivo, quello di disporre di un materiale fotografico che usciva da questo gruppo di una qualità migliore possibile. Quindi ci spalleggiavamo l’un l’altro per cercare poi di ottenere un qualche cosa… cioè non c’era l’idea: questa foto è mia, questa foto è tua… io sono più bravo… Questo soprattutto con Letizia. Tant’è che per esempio nel volume Chroniques Siciliennes, all’epoca noi firmavamo le foto: foto di Letizia Battaglia e Franco Zecchin, senza distinguere di chi erano. […]”

La differenza dell’APPROCCIO di Letizia Battaglia e Franco Zecchin

Franco dice: “L’approccio di Letizia era più un approccio direi performativo. Letizia arriva e afferma la sua presenza con la macchina fotografica. Io sono qua, provoco con il mio esserci una reazione e attraverso la reazione che ho provocato, colgo l’essenzialità del fatto con cui sono in rapporto.
Per me era assolutamente il contrario, nel senso che io non volevo provocare nulla, volevo giustamente… attenuare, sminuire la mia presenza, cosa che tutt’ora fa parte del mio modo di fotografare, per poter reagire in modo più trasparente possibile alle sollecitazioni che mi arrivavano. Ovviamente poi c’è sempre un’interpretazione anche da parte mia. Però in questo caso Letizia nella testimonianza che ha citato Giovanna lo descrive come il milanese freddo e distante, perché lei invece siciliana è calda e passionale… E’ un modo un po’ stereotipato di vedere la cosa… Io pure partecipavo, però era un modo diverso di partecipare.

Giovanna Calvenzi interviene dicendo: “Io ho sempre davvero guardato il lavoro di Letizia e tuo, e quest’idea di complementarietà, per me invece era chiarissimo, perché lei dice ridendo che tu eri freddo e milanese e lei era calda e palermitana, ma è evidente che è una boutade… io Letizia l’ho vista al lavoro. Letizia era dirompente. Quindi dava spazio a chi voleva riflettere, interpretare, guardare, perché tanto lei stava facendo la protagonista della situazione e ci sono alcune immagini… dove io ricordo che c’era anche lei…le foto delle famiglie per esempio, e si vede benissimo che lei sta andando proprio addosso, come dire, a questa famiglia, e tu hai un passo… ma non è questione di freddezza, è questione di approccio visivo diverso… tu sei più meditativo e la tua immagine ha una composizione… le ho guardate tutte più volte… non ce n’è una che ha la composizione sbagliata, non so come dirti, tu hai messo nell’immagine esattamente quello che volevi metterci. Cioè l’hai creata tu questa situazione… e lo puoi fare perché tu sei uno che guarda, che sta attento e che aspetta.
Noi abbiamo fatto già in passato delle riflessioni… tra le differenze nel modo di lavorare tra William Klein e Henri Cartier-Bresson. William Klein doveva entrare nella situazione, esserci, modificarla, far vedere che lui c’era. Cartier-Bresson doveva sparire. E io ho sempre un po’, con margini ovviamente diversi, pensato al vostro lavoro un po’ in questa direzione. Una che va nella situazione e uno che resta ai margini ma che la racconta con grande classe.

La fotografia per Franco Zecchin

Gli viene detto “tu sei sicuramente quello che gli americani potrebbero chiamare un fotografo concerned, direi, impegnato. Giri il mondo, fai lavori diversi ma quello che ti interessa maggiormente è l’aspetto sociale ma anche antropologico dei luoghi che frequenti, vai anche a scoprire quali sono le criticità, quelli che sono i problemi che nei vari luoghi in cui vai a fotografare emergono, no? Mi sembra che questa sia un po’ una delle tue caratteristiche… non sei uno spettatore neutro ma cerchi di entrare nello spirito delle popolazioni, dei luoghi… per testimoniare un qualche cosa nei loro confronti”.

Franco risponde: “Intanto l’idea di spettatore neutro non corrisponde a una realtà, non esiste uno spettatore neutro, qualsiasi sguardo seleziona e quindi fa un’operazione in qualche modo che non è neutrale. Quello che per me è importante in tutto questo è l’onesta. Cioè, io non voglio aggiungere più di tanto… l’operazione che faccio io è quella di togliere, di essenzializzare in un certo senso, di togliere tutto quello che disturba, che crea rumore, che non collabora a una coreografia d’insieme. Per cui in fondo anche in questo sottrarre, in questo selezionare, ovviamente c’è un’operazione autoriale. Intervengo, c’è un mio sguardo, c’è una mia interpretazione. In fondo per me, quello che mi piace nella fotografia, è perché ho un modo di entrare in relazione con il mondo. E in questo… poi io mi sono trovato nell’evoluzione del mio mestiere… piano piano… ho incorporato sempre di più questo sguardo. Poi quando uno è fotografo, continua a esserlo anche senza macchina fotografica, a guardare la realtà nello stesso modo. Piano piano mi sono avvicinato a un tipo di approccio che si può definire antropologico. Tant’è che poi alla fine mi ritrovo oggi a collaborare molto di più e molto più felicemente con antropologi, in ambito antropologico, che non con i giornali come agli inizi della mia carriera da fotografo. Probabilmente anche perché io sono evoluto in una direzione e i giornali sono evoluti in un’altra e ci siamo separati.
La fotografia non è qualche cosa di fisso, di stabile, di assolutizzante. Non è un’entità, è una relazione. […]

Il Bianco e nero per Franco Zecchin

Gli viene posta un’altra domanda: “Forse è giunto il momento che tu ci dica qualcosa sul bianco e nero. Perché io ho sempre un po’ l’impressione che nella scelta del bianco e nero non ci siano mai soltanto questioni di tipo stilistico o estetico, ma in fondo anche questioni di tipo etico. E’ così per te?”

Franco risponde: “L’etica è qualche cosa difficile da definire, quindi quando parliamo di etico bisogna vedere cosa intendiamo. Per me il bianco e nero da un lato è un tipo di linguaggio, per me, più naturale, del quale ho più dimestichezza, mi esprimo meglio. Il colore nasce più da una necessità. Ora faccio anche dei progetti di foto a colori, in cui utilizzo il colore e non il bianco e nero. Quindi c’è già un altro tipo di evoluzione. Però l’origine della mia fotografia a colori è un’origine alimentare. Dovevamo fare foto anche a colori perché i magazine e i mensile non volevano il bianco e nero o li pubblicavano molto meno facilmente che non il colore. Per poter pubblicare il bianco e nero dovevi avere veramente qualche cosa di particolare tipo ad esempio I Nomadi… o anche un riconoscimento del fatto che tu sei solo in bianco e nero, e quindi o quello o niente, ma è chiaro che ti tagli una grande fetta di mercato.”

Domanda: “Perché ti senti più a tuo agio con il bianco e nero?”

Franco: “Il bianco e nero svela l’artifizio. Noi non vediamo il mondo, le cose, in bianco e nero, quindi quando io lo mostro in bianco e nero, mostro già che c’è un’interpretazione, che c’è un qualche cosa di diverso che non la realtà com’è. E quindi anche se poi io nel mio mostrare voglio aderire a una realtà… e lì la doppia valenza della fotografia che da un lato riprende la realtà, dall’altro c’è pure lo sguardo del fotografo, quindi è un’interpretazione. Quindi questa ambivalenza può sembrare contraddittoria, può esserlo anche, però in fondo l’idea del bianco e nero per me è che in questa ricerca di essenzializzazione, essenzializzo ancora di più, nel senso che tolgo degli elementi di colore che magari non riesco a controllare o magari aumentano l’informazione contenuta nell’immagine in un modo che non mi interessa.

Fotografia e memoria

Una della cose importanti della fotografia è che l’immagine fissa si radica nella memoria in modo più forte e più immediato. La memoria, si può dire, si crea privilegiando le immagini. Se vogliamo ribaltare il ragionamento, attraverso le immagini fisse si può creare la memoria. La memoria è importante perché se noi perdiamo la memoria, cosa sono stati quegli anni in Sicilia per esempio, c’è il rischio che le cose si ripetano. E’ sempre bene mantenerla viva, questa memoria, e il modo migliore per mantenerla viva è utilizzando anche le immagini.

Appunti di fotografia [44] – Fotografia e Bianco e nero, Piergiorgio Branzi

Rispondendo alla domanda “come, perché e quando è entrata la fotografia nella tua vita?“, Piergiorgio Branzi dice:

“[…] Per la prima volta, avevano organizzato a Firenze, subito dopo la guerra, una prima mostra di fotografia di Cartier-Bresson. Io conoscevo la fotografia come spettatore, lettore, ma non che cosa era e che cosa si poteva fare […]. Questo complesso di fotografie di Cartier-Bresson evidentemente avevano […] (dato) quasi uno shock. Io avevo una continuità giornaliera con la scrittura, gestivo una libreria che aveva fondato mio padre […], trovare l’oggetto di una macchinetta che riusciva in poche immagini a creare un mondo nuovo ma chiaramente vero, molto più di qualunque altra descrizione vocale. E quindi la imparai a memoria, me la rivedevo […] e quindi volli provare. […] Allora decisi di andare a Parigi a cercare di conoscere Bresson. Era diventata una forma “nervosa” (ossessione), non potevo non vederlo di faccia. Riuscii a trovare l’indirizzo della Magnum e decisi di andare a suonare e chiedere di parlarci. […] Suonai […] e cosa dire? La verità […] “devo vedere Cartier-Bresson” e poi apparve lui. […] Ripartii la stessa sera col cuore in subbuglio.”

E poi un’altra frase mi ha catturato:

“Uno le coglie (le fotografie) a colori e rimangono a colori. Il bianco e nero seguiti a metterci mentalmente il colore e quindi, secondo me, sono più colorate di quelle colorate sulla pellicola stessa, perché ci metti qualcosa di tuo.”

Tratto da “Dritto negli occhi. Conversazioni fotografiche | Un mondo nuovo ma vero. Incontro con Piergiorgio Branzi