23 Set 2023 |
Vorrei indicare in questi appunti due tipi di approccio al ritratto. Non c’è quello giusto o quello sbagliato, c’è quello che vi appartiene o quello che decidete di attuare seguendo una motivazione. Ce ne sono anche altri, ma al momento voglio descrivere questi:
Il primo è un approccio in cui il fotografo è completamente ricettivo, pronto a essere invaso dalla persona che ha di fronte. Non verrà fuori il suo io, non sarà un’evidenziazione della propria arte. Potrebbe sembrare quasi un approccio documentaristico da parte del fotografo. Un approccio in cui la direzionalità è quasi totalmente dal fotografato al fotografo. Fotografare grazie al non fare. Lasciare spazio al fotografato di mostrare quello che è. Questa non sarà una fotografia “presa” ma una fotografia “data”. Alcuni fotografi restano quasi totalmente in silenzio. Potrebbe sembrare quasi una fototessera, anche se in realtà non lo è, perché la presenza del fotografo è fondamentale.
Il secondo è un approccio completamente opposto, che si potrebbe definire quasi come un autoritratto del fotografo. Il fotografo potrebbe cercare qualcosa di sé nel fotografato, probabilmente una sua mancanza. Quella ricerca fatta con lo sguardo, con le proprie motivazioni interiori, ma anche con il dialogo che porta fotografato e fotografo da qualche parte. C’è anche la voglia di parlare di sé tramite il fotografato, aiutarsi tramite il fotografato a comunicare qualcosa che si ha dentro. Questo viaggio mostra tanto del fotografo, lo fa esporre tanto quanto il fotografato. La totale apertura del fotografo genera nel fotografato altrettanta apertura. Il fotografo si rivela, si espone. Il ritratto nasce quindi dal mettersi in gioco fino in fondo, dal lasciarsi guardare, dal prendersi il rischio di esporsi. E questo vale per entrambe le parti.
Personalmente mi sento più vicino a questo secondo approccio. Vedo il ritratto come un percorso che si fa insieme al fotografato. Uno scambio paritario di sensazioni, un dialogo anche senza parole, un incontro, un’esperienza bidirezionale che porterà al ritratto.
17 Dic 2022 |
Nella diretta Instagram del 26 novembre, Toni ha parlato del workshop a Marettimo “The dreamers island”. WS dedicato principalmente ai fotografi di matrimonio.
Ha portato la sua conferenza “ispirazioni” che mette a confronto il suo lavoro (Carta stampata) e quella dei suoi ispiratori.
Poi ha fatto un workshop di 2 giorni.
Nei suoi workshop preferisce non scattare, per evitare che il suo modo di fare può essere scambiato per IL modo di fare il ritratto. Sia perché ogni volta è diversa, tutto cambia da persona a persona, sia perché il rischio è che i partecipanti diventino un’imitazione del fotografo che fa vedere. A Toni interessa sviluppare le capacità proprie dei partecipanti.
Digressione: è interessante anche “passare dall’altra” parte per sentire quello che il fotografo mi porta: quando mi prende in mano, quando mi lascia andare, quando mi sostiene da un punto di vista mentale, psicologico, so quando mi fa sentire bene, quando mi fa sentire bello, quando invece mi lascia da solo e non so più cosa fare.
Quando sei fotografo di matrimonio, una cosa è certa: non ti puoi permettere di perdere la foto. Quindi lui ha cercato di capovolgere un po’ la situazione, mettendoli nella condizione di perdere la fotografia, quindi dando la possibilità di fare uno scatto solo!
Non rincorrere continuamente l’idea del risultato. L’idea del “ce l’ho!”.
Siamo abituati a pensare il ritratto come qualcosa che viene preso.
Sensazione di frustrazione quando il soggetto non fa quello che tu vuoi. Ciò produce una sorta di mediocrità della fotografia di ritratto di oggi. La sensazione del “non succede granché” causato dal fotografo (ad esempio con atteggiamento predatorio). One shot, quindi, mette in discussione tutto questo.
L’idea di lasciar andare via la foto, di scattare solo quando si stabilisce un gioco, una connessione, vale mille scatti nel tentativo di portare a casa qualcosa.
La luce dovrebbe raccontare in un ritratto il 70-80% della sensazione di quello che sta avvenendo tra fotografo e soggetto. Il 20% che rimane, lo esprimerà il soggetto.
Non c’è una luce standard attraverso cui poi il soggetto si esprime.
La luce si misura in millimetri, quindi la luce non è sempre quella! L’impostazione potrebbe essere sempre quella, ma la cambiamo noi.