Appunti di fotografia [119] – La bellezza

Sto leggendo tantissime cose nelle stories Instagram di Marco Ragaini (se non lo seguite, correte a farlo perché merita!!). Questa settimana mi sono soffermato sul concetto di “bellezza” per la quale scrive:

La fotografia ha certamente a che fare con la ricerca della bellezza. E la fotografia di ritratto, con la ricerca della bellezza delle persone.
È però difficile dire cosa si intende, cosa intendo per bellezza. lo per esempio sento una distanza crescente tra ciò che trovo bello in una persona e i canoni che definiscono come dovrebbe essere.

Spesso si riduce la bellezza all’adeguamento a un modello estetico irraggiungibile che in realtà allontana dalla ricerca del Bello e porta a sentire inadeguatezza per come si è. Credo che queste siano constatazioni ovvie, che tutti sperimentiamo.

Lavorando spesso con attrici e attori, sento la responsabilità di rappresentarli come persone interessanti, ricche, espressive, contraddittorie, intriganti, magari anche inquietanti, ma non solamente o principalmente come “belle”. Credo che questo sia molto riduttivo, e forse nemmeno utile professionalmente.
Quando fotografo una persona molto vicina ai canoni estetici comuni penso sempre: “abbiamo un problema, è troppo bella”. Intendo dire che il rischio è di fare foto che fanno tutte presa solo su uno stesso aspetto, riducendo così questa persona a una sola dimensione e perdendo tutta la ricchezza che potrebbe esprimere.

La bellezza esiste. Tutti ne conteniamo, come esiste in un paesaggio o in un’opera d’arte. Si tratta solo di scoprirla e di lasciarla emergere.
Negli anni ho sentito di dover fare un lavoro importante su di me, uomo e pure boomer, per mettere in discussione e arricchire la mia idea di bellezza, i modelli che mi condizionano, la mia capacità di guardare. Mi sono accorto di essere come
“daltonico” vedevo le persone, specie le donne, sotto un’angolatura ristretta: farle venire belle in foto. Dove “belle” era ovviamente belle come sulle riviste.
Ascoltando, leggendo, guardando il lavoro di fotografe e fotografi, credo di aver coltivato il mio sguardo. Ciò che mettiamo in una foto è ciò che sappiamo vedere di una persona. Se il nostro sguardo è banale, lo sarà anche il ritratto.

Mi viene in mente anche un altro aspetto: la bellezza non è qualcosa che il fotografo “appiccica” sopra alla persona, con luci, effetti, pose e Photoshop, ma qualcosa che la persona lascia uscire, e che il fotografo sa cogliere.

Che dire, bellissimo. Spesso mi sono trovato nella condizione di volere a tutti i costi fare uscire dal ritratto quel concetto di bellezza, quasi ideale, da copertina. Spesso ho scelto una fotografia solo perché il soggetto lo vedevo “più bello”, ma dopo quella scelta che in fondo, riflettendoci, era forzata, sentivo un’attrazione inspiegabile verso un’altra fotografia più sincera, forse meno “bella”, ma più particolare, quella fotografia in cui la bellezza del soggetto non stava nel “bello” utopico ma in un’espressione, in un momento, in un tratto particolare, in uno sguardo, nell’armonia, nella luce, in qualcos’altro che sentivo inspiegabilmente più vicino.

Credo di essere sulla stessa linea di Marco, perché, senza nemmeno farlo apposta, in un’altra storia scrive:

Sento di dover fare un continuo lavoro su di me per educarmi a riconoscere la bellezza nelle persone.
Quando faccio un ritratto, cerco di raccontare qualcosa di bello sulla persona che ho di fronte.
E sembra quasi scontato dirlo.

In realtà la questione è molto più complessa perché ha a che fare con ciò che il mio occhio, il mio cervello, la mia sensibilità e la mia cultura riconoscono come “bello”. C’è un momento in cui avviene una sorta di allineamento, per cui riconosco che quella situazione, la luce, lo sguardo… sono “belli”. Allora scatto.

Ma quando avviene? Spesso sento che prevale un’idea di bello che mi viene dai canoni socialmente premiati (le persone che vengono considerate “belle”) o da un’estetica socialmente apprezzata (il tipo di foto che riceve molti like). Se riconosco quel tipo di situazione, sono portato a pensare che sia “bella” e a fotografarla.

In realtà, se mi ascolto più in profondità, mi accorgo che c’è una bellezza più profonda che sento molto più mia, e che spesso ha a che fare con l’imperfezione, con l’unicità, con qualcosa che rompe lo schema del prevedibile.

Questo avviene sopratutto fotografando le donne, forse per mio condizionamento culturale o anche perché sono sottoposte a maggiori vincoli nel canone socialmente accettato.

Non mi basta rappresentare una persona come “bella”, in un certo senso non mi interessa nemmeno che si veda “bella”, se questo termine significa conformarsi a degli standard.
lo vorrei vedere e fotografare le persone per la bellezza e l’armonia unica e specifica che portano in sé.

Appunti di fotografia [113] – La luce nel ritratto e gli schemi…

La luce.

La scoperta di quanto sia la luce in realtà a dare il tono del ritratto. Non è l’espressione del soggetto, non è l’espressione del fotografo, ma è la luce. […]

Ricercare con la luce una certa emozione.

Se c’è una cosa da cui questi corsi (il corso che stava lanciando in quel momento) sono molto lontani, sono gli schemi luce. […] Ridurre la luce a uno schema mi sembrerebbe come ridurre l’innamoramento a uno schema. Per carità, poi si può fare tutto, però a me non piace. Mi piace stimolare in chi mi segue, a livello didattico, una curiosità e una capacità di trovare una propria…

Tratto da una diretta Instagram di Toni Thorimbert del 2.6.2023.

Appunti di fotografia [112] – Fotografia è esplorazione

La fotografia è esplorazione di territori, anche nel ritratto, che è un territorio dove succedono cose o dove possiamo far succedere cose soprattutto con la luce.

[…] Alcune volte sarà più facile, altre volte sarà più difficile. […]

In questa esplorazione scopriremo luci che magari non sapevamo esistere in quel posto e questo è tutto un bagaglio di conoscenza che ci verrà sicuramente utile.

Toni Thorimbert

Appunti di fotografia [92] – Toni Thorimbert a Marettimo

Nella diretta Instagram del 26 novembre, Toni ha parlato del workshop a Marettimo “The dreamers island”. WS dedicato principalmente ai fotografi di matrimonio.
Ha portato la sua conferenza “ispirazioni” che mette a confronto il suo lavoro (Carta stampata) e quella dei suoi ispiratori.
Poi ha fatto un workshop di 2 giorni.
Nei suoi workshop preferisce non scattare, per evitare che il suo modo di fare può essere scambiato per IL modo di fare il ritratto. Sia perché ogni volta è diversa, tutto cambia da persona a persona, sia perché il rischio è che i partecipanti diventino un’imitazione del fotografo che fa vedere. A Toni interessa sviluppare le capacità proprie dei partecipanti.

Digressione: è interessante anche “passare dall’altra” parte per sentire quello che il fotografo mi porta: quando mi prende in mano, quando mi lascia andare, quando mi sostiene da un punto di vista mentale, psicologico, so quando mi fa sentire bene, quando mi fa sentire bello, quando invece mi lascia da solo e non so più cosa fare.

Quando sei fotografo di matrimonio, una cosa è certa: non ti puoi permettere di perdere la foto. Quindi lui ha cercato di capovolgere un po’ la situazione, mettendoli nella condizione di perdere la fotografia, quindi dando la possibilità di fare uno scatto solo!
Non rincorrere continuamente l’idea del risultato. L’idea del “ce l’ho!”.

Siamo abituati a pensare il ritratto come qualcosa che viene preso.
Sensazione di frustrazione quando il soggetto non fa quello che tu vuoi. Ciò produce una sorta di mediocrità della fotografia di ritratto di oggi. La sensazione del “non succede granché” causato dal fotografo (ad esempio con atteggiamento predatorio). One shot, quindi, mette in discussione tutto questo.

L’idea di lasciar andare via la foto, di scattare solo quando si stabilisce un gioco, una connessione, vale mille scatti nel tentativo di portare a casa qualcosa.

La luce dovrebbe raccontare in un ritratto il 70-80% della sensazione di quello che sta avvenendo tra fotografo e soggetto. Il 20% che rimane, lo esprimerà il soggetto.
Non c’è una luce standard attraverso cui poi il soggetto si esprime.
La luce si misura in millimetri, quindi la luce non è sempre quella! L’impostazione potrebbe essere sempre quella, ma la cambiamo noi.

Appunti di fotografia [65] – Ferdinando Scianna

Dopo aver visto la mostra di Ferdinando Scianna a Palazzo Reale a Milano, mi sono rimaste nel cuore queste sue frasi:

Non ho mai creduto alle specializzazioni, specialmente per un fotografo. Fotografo di moda, paesaggista, ritrattista, antropologo. Non capisco che cosa voglia dire. Un fotografo è uno che guarda cercando di vedere, il senso, la forma, le emozioni che offre il mondo. Anche le cose le guardo, le fotografo, sempre da reporter, certo non da specialista di
still life, come si dice.

Mio nonno faceva il falegname. La materia prima del suo essere artigiano era il legno. Si può dire che la materia prima di un fotografo è la luce. La luce che colpisce le cose, gli uomini nel mondo e permette al fotografo di vederlo, di leggerlo. Il fotografo legge il mondo, lo interpreta, non lo scrive. Ma la maniera in cui un fotografo legge il mondo attraverso la luce è
determinata dalla realtà in cui si è formata la sua coscienza visiva ed esistenziale. C’entra molto il luogo in cui è nato e cresciuto e anche il paesaggio estetico e psicologico che la luce determina.

Non pretendo, non lo pretendo più, di cambiare il mondo con le fotografie. Mi ostino a credere, però, che le cattive fotografie lo peggiorano.

Più che scrivere con la luce, fotografare è leggere ciò che il mondo ha scritto con la luce…

Sono più orgoglioso delle foto che amo che di quelle che faccio.

Ferdinando Scianna