Appunti di fotografia [149] – Don Mccullin, fotografare

“Fotografare non vuol dire semplicemente scattare. Ha a che fare con l’esperienza di essere lì. Nelle mie fotografie metto quelli che sono i principi che ho in testa e quello che mi propongo di fare. Ci metto il senso di ciò che sono e di ciò che ho visto. Ci metto dentro la mia identità attraverso il modo di stampare e di comporre le foto.”

Don Maccullin

Tratto dal numero di dicembre 2023 di Fotoit.

Appunti di fotografia [122] – Fotografare e danzare

Avevo già scritto un appunto (Il ritratto come il ballo) sulla similitudine tra fotografia e ballo. Vorrei aggiungere altro.

Una buona fotografia nasce nel momento in cui un fotografo ha individuato una situazione e ha iniziato a lavorare su quella situazione. Non mollare il soggetto. Espandi concettualmente quel soggetto, guardalo da più punti di vista, alzati, abbassati, spostati, cambia i piani, e, come ho scritto nel titolo, danza! il fotografo deve entrare in relazione con la realtà che sta fotografando e provare a cambiare i punti di vista.

Queste attenzioni aumentano il bagaglio del fotografo, permettono di potenziare le sue capacità, di ragionare su differenti punti di vista, e sicuramente anche di portare a casa anche una fotografia molto migliore di quella che si farebbe restando immobili davanti al soggetto.

Appunti di fotografia [111] – Ricordare o fotografare?

Il titolo di questo appunto è un po’ provocatorio, ma è nato dalla lettura di un estratto del discorso “La fotografia: oggetto teorico e pratica sociale” pronunciato da Umberto Eco al XXXVIII Congresso dell’Associazione Italiana di Studi Semiotici. Lo riporto qui di seguito:

[…] ho smesso di fotografare quando ormai da almeno dieci anni avevo una macchina fotografica, nel 1961. Perché, avendo già dato la tesi di laurea sull’estetica medioevale, ma continuando sempre a essere interessato a quei secoli, nel ‘61 ho fatto un viaggio, con altri tre amici, attraverso tutte le abbazie romaniche e le cattedrali gotiche francesi. Naturalmente mi ero portato dietro una macchina fotografica e ho fotografato tutto, incessantemente. Le foto sono orribili, non mi servono e non mi sono mai servite, ho piuttosto comperato dei libri dove c’erano foto migliori, e di quel viaggio non ricordo più niente. Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato. Da quel giorno non ho mai più fatto fotografie in vita mia, partendo dal principio che ci sarebbe sempre stato qualcuno che le faceva al posto mio, e infatti ce ne sono sempre più di quanto desideri o abbia bisogno…

Quindi l’eccesso di possibilità fotografica può ledere la nostra memoria, perché la nostra memoria sopravvive quando, in termini fotografici, è grandangolare. Se invece andiamo in giro col telefonino per fotografare tutto quello che pare interessarci, diventa puntuale. Cioè del potenziale grandangolo che potevamo ricordare abbiamo ricordato solo quello che abbiamo scelto in quel momento e ci rimane solo quel documento lì. Anche questa riflessione mi pare profondissima ma non so a che risultati possa portare.

Evidenzio in grassetto la frase secondo me più emblematica e che mai come oggi risulta appropriata:

di quel viaggio non ricordo più niente. Ero troppo occupato a fotografare e non ho guardato.

Sicuramente si può riflettere a lungo su questo paradosso della fotografia vista come distruttrice della memoria, quando invece è riconosciuta universalmente come portatrice di memoria.